05 – L’amore come origine e fine dell’essere personale. Edith Stein interprete di sant’Agostino

2009 – L’amore come origine e fine dell’essere personale. L’immagine di Dio nella vita spirituale dell’essere umano – Edith Stein interprete di sant’Agostino, in AAVV, Il percorso intellettuale di Edith Stein, Edizioni Giuseppe Laterza, Bari 2009.
«…l’amore è qualcosa di così positivo, di così forte, di così vero che, per chi ama, soffocare il proprio sentimento sarebbe come togliersi la vita. […] La vita mi è diventata molto cara e sono felice di amare. La mia vita e il suo amore sono una cosa sola. […] Penso che nulla più del vero amore possa svegliarci alla realtà della vita»[1].
1. Edith Stein e sant’Agostino
L’incontro di Edith Stein con il pensiero di sant’Agostino avviene abbastanza presto. Già in una lettera a Ingarden del 1917 ella mostra il desiderio di leggerne le opere con l’intento di trovare una risposta ai problemi che più le stanno a cuore:
«Sono molto contenta che Lei si sia imbattuto in problemi religiosi. Allora penso che i suoi capelli non si siano rizzati troppo per la metafisica di cui era impregnata la mia ultima lettera. Credo che ci si scontri sempre con tali questioni, a prescindere dal vissuto religioso); non è possibile elaborare una teoria della persona senza occuparsi dei problemi di Dio ed è impossibile comprendere che cosa sia la storia. Non appena avrò terminato con le Idee, vorrei approfondire tali questioni. Sono i problemi che mi interessano. Forse, quando Lei ritornerà potremo leggere insieme Agostino»[2].
E in una lettera del 1924 indirizzata ancora a Ingarden, dopo aver raccontato del suo lavoro di traduzione del libro The Idea of University” del card. Newmann, che di sant’Agostino è un fine conoscitore, scrive anche in tono piuttosto risentito per una probabile accusa di dogmatismo da parte del collega:
«Quando ho letto le ultime righe mi sono chiesta: come è possibile che un uomo con una formazione scientifica, che rivendica oggettività rigorosa e che senza un esame approfondito non emetterebbe un giudizio in merito alla più insignificante questione filosofica, possa sbarazzarsi del problema più importante di tutti con una frase che ricorda lo stile di un qualsiasi periodico di bassa levatura? Mi riferisco all’«apparato dogmatico escogitato per il dominio delle masse». Non lo intenda come un rimprovero personale. Il Suo atteggiamento è tipico degli intellettuali che non si sono educati nella Chiesa mentre io da qualche anno non ho fatto niente altro. Invece mi permetta, in nome della nostra antica amicizia, di trasformare per Lei il problema generale in una questione di coscienza intellettuale. Quanto tempo ha già dedicato (con l’insegnamento della religione a scuola) allo studio del dogma cattolico, del suo fondamento teologico e del suo sviluppo storico? E si è mai posto qualche volta la questione di capire come uomini come Agostino, Anselmo di Cantebury, Bonaventura, Tommaso – indipendentemente dai molti altri i cui nomi sono sconosciuti a coloro che non sono addentro alla materia, ma che senza dubbio non erano o non sono meno intelligenti di noi gente illustre – come questi uomini hanno visto nel disdegnato dogma il punto massimo a cui lo spirito umano può accedere e l’unica cosa per cui vale la pena sacrificare una vita? Con quale diritto Lei può designare i grandi maestri e i grandi santi della chiesa come sciocchi o come scaltri impostori?»[3].
Ella vede in sant’Agostino innanzitutto una persona che ha affrontato le grandi questioni che riguardano l’essere umano a partire dal contributo che alla ragione umana offre la fede. La sua posizione riguardo al rapporto fra la fede e la ragione sarà chiarita proprio confrontandosi con la riflessione di questi grandi uomini. Per lei sant’Agostino è innanzitutto un maestro.
Un maestro del passato che insieme al maestro da lei seguito nel presente le ha indicato la via da percorrere. Egli ha posto l’attenzione su molti temi presenti nella scuola di Husserl. Temi che hanno a che fare con l’essere umano e la sua vita nel mondo.
Fra di essi troviamo l’indicazione del punto di partenza del filosofare e soprattutto il tema della temporalità, riguardo al quale la meditazione di sant’Agostino può essere considerata come un momento da cui non si può prescindere.
La Stein nell’opera Essere finito e Essere eterno in cui condensa tutte le ricerche da lei svolte, commenterà a più riprese l’opera del santo sulla Trinità, al fine di accoglierne i suggerimenti e mostrarne la consonanza con le proprie riflessioni.
1. Il punto di partenza del filosofare.
È proprio dell’essere umano avvertire l’urgenza di trovare una risposta alla domanda sul senso del suo esistere. Nulla sembra riuscire a colmare il suo bisogno di pienezza. Tutto quanto è da lui vissuto non è altro che una testimonianza del suo profondo bisogno di significato. È come se ogni cosa avesse in sé un rimando alla realtà da cui proviene e ne fosse solo un fragile segno. E ancor di più, egli trova amplificati questi rimandi, nell’essere di cui è costituito. Per questo, non può vivere senza avvertire in sé urgente il desiderio di Dio. Di esso la Stein afferma:
«nel suo mondo interiore, come in quello esteriore, l’essere umano trova rimandi a qualcosa che è al di sopra di lui e di tutto ciò che esiste, da cui egli e tutto ciò che esiste dipende. La domanda circa questo essere, la ricerca di Dio appartiene all’essere dell’uomo»[4].
La presenza di sant’Agostino ci appare evidente. In un brano tratto dalla stessa opera ella rende più esplicito questo riferimento:
«Così per il cristiano si rende necessario un comportamento critico nei confronti del mondo nel quale vive come uomo spiritualmente desto, e nei confronti del proprio io. L’appello alla coscienza del vero essere, che, come abbiamo già visto, è espresso con radicale lucidità nella metafisica di Heidegger, è un appello del cristianesimo originario, un’eco di quel con cui il Battista invitava a preparare le vie del Signore.
Tra tutti pensatori cristiani nessuno ha risposto a questa chiamata con più appassionata energia di sant’Agostino, “Noli foras ire, in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.” Nessuno è penetrato in se stesso più profondamente di Agostino nelle sue Confessioni. Né alcuno ha esercitato una critica più netta e radicale al mondo della vita umana di Agostino nella sua Città di Dio. Ma il risultato è totalmente diverso: nell’interiorità dell’essere umano abita la “Verità”; questa verità non è la semplice realtà del proprio esserci nella finitezza. Tanto è indiscutibilmente certa per Agostino la realtà del proprio essere quanto ancor più lo è quella dell’essere eterno, che sta dietro questo suo fragile essere. Questa è la verità nella quale l’essere umano si imbatte quando penetra fin nel profondo della sua interiorità. L’anima conosce se stessa, e così, in se stessa, conosce Dio[5]. E conoscere che cosa essa sia e cosa in essa ci sia, le è possibile solo mediante la luce divina. “…Tu mi conosci, io desidero conoscermi, come sono conosciuto”, “Che cosa, Signore, dinanzi ai cui occhi l’abisso delle coscienze umane è nudo, Ti sarebbe nascosto in me, se anche non volessi confessartelo? Io nasconderei Te a me e non me a Te …. Perciò si compie la mia confessione dinanzi a Te, mio Dio, muta… Nulla di vero dico agli uomini [/34] che prima Tu non abbia udito da me; e Tu non odi nulla di simile da me che Tu non mi abbia detto prima.”[6] Quanto detto tradisce un profondo scetticismo nei confronti di una conoscenza di sé puramente naturale. Tuttavia visto che, secondo Agostino, la conoscenza di sé è più originaria e più certa della conoscenza di qualsiasi cosa esteriore, deve sembrare impresa totalmente immodesta voler svelare con mezzi solamente naturali le profondità nascoste di un’anima estranea»[7].
La Stein trova nel pensiero di sant’Agostino una conferma di ciò che aveva precedentemente appreso alla scuola di Husserl: il punto di partenza per una riflessione sulla questione dell’essere è la certezza del proprio essere. Essa è una certezza inequivocabile e dalla quale non ci si può separare. Di essa aveva parlato il santo nel De Trinitate. La Stein gli fa eco in questo modo:
«In ogni caso, quindi, nel “vivere” di sant’Agostino, nell’”Io penso” di Cartesio, nella coscienza nel vissuto in ogni caso di Husserl, si cela sicuramente un io sono. Questo non viene ricavato o dedotto […] ma vi si trova in modo immediato: pensando, sentendo, volendo o in qualsiasi moto dello spirito sono e sono consapevole di questo essere»[8].
Da questa certezza si può partire per portare avanti l’analisi sul senso dell’essere partendo proprio da quello dell’essere umano.
2. La temporalità
E la prima constatazione è che esso si rivela come essere temporale nel quale sono compresenti essere e non-essere, come un:
«”ora” compreso tra un “non più” e un “non ancora”»[9].
La temporalità è il carattere proprio dell’essere dell’Io che manifesta, nella sua vita, attualità e potenzialità come modi di essere in cui sono presenti allo stesso tempo essere e non-essere secondo gradi diversi:
«Il nostro Io si è rivelato temporale, ossia come un’attualità puntiforme; che continuamente emerge alla luce in modo sempre nuovo. Ma questa stessa attualità non è affatto pura: nel mio presente puntiforme v’è insieme l’attuale e il potenziale, io non sono in modo uguale tutto ciò che sono in questo istante»[10].
In questo suo scindersi in essere e non-essere, emerge l’idea dell’essere puro, di un essere che non ha nulla del non-essere, di un essere eterno.
Il venir fuori dell’idea dell’essere puro dalla considerazione dell’essere temporale offre anche una prima indicazione circa la modalità di rapporto fra questi due modi di essere che è l’analogia entis.
L’analisi della temporalità dell’essere umano per sant’Agostino, come per la Stein, che ne accoglie i suggerimenti, si presenta come via di accesso privilegiata alla consapevolezza della propria contingenza e, quindi, dipendenza creaturale da un Essere eterno che si delinea come fondamento della propria esistenza.
L’essere finito dell’Io, rivelatosi limitato temporalmente, si mostra fragile e inadeguato anche nella sua capacità di compiere l’esistenza nella quale si trova a vivere. E non si avvertirebbe tutta la problematicità di questa situazione, se non fosse per il fatto che, nel suo stesso esserci, l’Io rinviene costantemente il desiderio della pienezza. Deve, in ogni istante, fare i conti con l’anelito alla perfezione che, da se stesso, scopre di non potersi dare.
Ecco perché avverte sempre più urgente il desiderio di essere amato.
Solo l’amore può salvare l’essere umano dalla sua fragilità e dal suo essere esposto continuamente al nulla.
2. Edith Stein e il tema dell’amore
Nella sua riflessione filosofica, Edith Stein non ha affrontato in maniera sistematica il tema dell’amore. Eppure esso è presente come elemento che motiva e dà unità a tutto il suo lavoro. La chiarificazione delle determinazioni della persona, tema che attraversa dal principio alla fine, le sue opere, rinviene nell’amore l’origine e il fine della vita dell’essere umano. Il suo tratto peculiare è il possesso, insieme ad una dimensione psico-corporea, di una dimensione spirituale nella quale si manifesta una analogia trinitatis attraverso la quale diviene evidente la sua somiglianza al Creatore.
Non si può prescindere dall’amore se si vuol comprendere la natura peculiare e la posizione specifica che l’essere umano occupa all’interno del reale.
La Stein mutua questa visione dell’amore come origine e fine dell’essere personale dalla filosofia medievale e, in particolare, da quella di sant’Agostino. Per questo intendiamo mostrare il legame fra la riflessione di Edith Stein e quella di sant’Agostino riguardo al legame fra la conoscenza e l’amore e all’importanza dell’amore come immagine della Trinità nella vita spirituale dell’essere personale.
3. L’inizio della ricerca: entropatia e amore
Il percorso speculativo di Edith Stein prende avvio da una riflessione sull’entropatia intesa come modalità di conoscenza del vissuto estraneo. Attraverso un’analisi rigorosa di questo vissuto e una comparazione ad altre esperienze ad esso analoghe, la Stein mostra quanto importante sia per l’essere umano la relazione intersoggettiva ai fini di una comprensione del proprio essere personale. Attraverso l’entropatia possiamo aver esperienza, seppur in maniera non originaria, dei vissuti dell’altro e attraverso di essa arrivare ad aver consapevolezza più chiara del nostro stesso essere.
Ella, seguendo in modo personalissimo, le ricerche di Husserl tratta dell’entropatia come strumento di chiarificazione della costituzione dell’individuo psicofisico prima, dell’individuo estraneo poi e, per finire, delle persone spirituali.
Sin dall’inizio delle sue ricerche, la Stein, rinviene nello spirito l’elemento peculiare dell’essere personale. Attraverso di esso la persona trascende la sua dimensione psicofisica ed è capace di vivere una relazione amorevole con se stessa, con altri esseri umani e, anche se per il momento la questione è lasciata ad un non liquet finale, con altri esseri spirituali di cui si deve ammettere l’esistenza.
L’entropatia è una modalità di conoscenza del vissuto estraneo che rivela immediatamente il carattere di apertura all’altro da sé di cui la persona è portatrice. Un’apertura che si rivelerà costitutiva dell’essere della persona e che ha come fondamento la sua dimensione spirituale. Un’apertura che si mostra come una possibilità di incontro amorevole con l’altro da sé.
L’entrare in una relazione conoscitiva con l’altro permette di vivere l’assenso al valore di cui è portatore in quanto persona: siamo innanzi all’esperienza dell’amore.
Il legame fra la conoscenza e l’amore si mostra da subito come uno degli elementi fondamentali dell’essere personale sebbene, a causa dell’atteggiamento ancora lontano dalla fede religiosa della Stein, non si riveli ancora come luogo di una somiglianza con l’Essere infinito da cui la persona umana trae origine.
4. Il prosieguo delle ricerca: spirito, conoscenza e amore
Gli anni successivi alla discussione della tesi di laurea e all’abbandono, liberamente e dolorosamente attuato, del lavoro di assistentato al maestro Husserl, vedono la Stein impegnata in un gran lavoro di approfondimento delle dimensioni costitutive della persona.
Le sue ricerche mirano ad individuare e a descrivere in maniera sempre più chiara gli elementi di cui la persona umana è formata. Questo attraverso l’uso del metodo fenomenologico e l’apporto offerto dallo studio della filosofia medievale, condotto successivamente alla conversione al cattolicesimo.
Fra le dimensioni individuate vi è quella spirituale.
Mediante lo spirito l’essere umano può conoscere la realtà e, al tempo stesso, aver coscienza di sé. Infatti l’essere naturalmente rivolto a rappresenta la prerogativa di ciò che è spirituale che si rivela nell’attività di un soggetto vivente.
Questa attività presuppone, però, una volontà libera che diriga l’intelletto nel suo cammino verso l’oggetto cui è rivolto.
A questo punto entra in gioco una realtà che si pone fra l’intelletto e la volontà.
Sentiamo la Stein:
«L’actus purus, come abbiamo visto, è essere e questo essere è conoscenza perfetta e completa, è volontà creatrice e assenso a se stesso (ed anche a tutte le creature) nella forma massima dell’assenso, cioè l’amore. Negli spiriti creati, tutto ciò che qui è unità di un atto, va separato in una serie di atti e potenze materialmente e temporalmente distinte che stanno però in un determinato ed ordinato nesso. Sotto il titolo di “intelletto” raggruppiamo tutti gli atti reali e possibili che sono diretti alla conoscenza dell’essente e nei quali viene ottenuta la conoscenza dell’essente; raggruppiamo sotto il titolo di “volontà” tutti gli atti attraverso i quali qualcosa che non è ancora realmente colto, ma che è possibile cogliere, viene determinato all’essere e che eventualmente (per mezzo di un fare introdotto attraverso il volere) viene posto in essere. Tra la ricezione del mondo coll’intelletto e l’organizzazione dello stesso attraverso la volontà vi è nell’animo un colloquio interiore della persona col mondo. Di regola, l’incontro del soggetto spirituale con l’oggetto non è mero incontro razionale, non è una mera ricezione conoscitiva: il soggetto, attraverso ciò, viene toccato interiormente ed ingiunto ad una presa di posizione. Il contatto è caratterizzato in maniera contrastante come piacere o dispiacere, mentre le corrispondenti prese di posizione come assenso o ricusa, nelle loro massime forme come amore o odio»[11].
Appare chiaro come il legame fra la conoscenza e l’amore torni a farsi strada nella riflessione della Stein e assuma una connotazione più marcatamente ontologica. Ma come mai ella sente il bisogno di richiamare questo legame che, come vedremo, si rivelerà ancora più determinante nell’incontro con se stessi e con l’altra persona umana?
1. Conoscenza e amore: breve excursus storico
a. La filosofia platonica
Il rapporto fra la conoscenza e l’amore, inteso come desiderio di sapere e assenso a quanto si è conosciuto, trova il suo momento iniziale nella filosofia platonica. Per Platone l’amore è una forma di conoscenza delle idee e, quindi, della verità. In essa è coinvolto tutto l’essere della persona la quale viene messa in movimento dalla forza attrattiva della bellezza che rimanda alle idee di cui è espressione. È una forma di conoscenza in cui non è implicata semplicemente la ragione dialettica, ma tutto ciò di cui la persona è costituita.
b. Sant’Agostino
Questa riflessione sul legame che fa dell’amore la suprema forma di conoscenza dell’essere umano, giunge ad un momento di altissima profondità nella pensiero di sant’Agostino.
Nel trattato sulla Trinità, egli, espone la sua dottrina riguardo al legame fra la conoscenza e l’amore. Lo fa attraverso un’approfondita analisi di quanto accade nello spirito umano.
In esso egli rinviene due diverse forme di trinità nelle quali si può scorgere l’impronta lasciata dal creatore nella creatura: quella formata da spirito (mens), conoscenza (notitia) e amore (amor), e quella costituita da memoria, intelligenza e volontà.
Esse sono intimamente legate fra di loro e si implicano reciprocamente.
Attraverso l’analisi di queste due forme di trinità sant’Agostino intende penetrare sempre più nel mistero dell’animo umano nel quale egli intravede la possibilità di cogliere l’immagine del creatore.
Cosa emerge da questa analisi?
Innanzitutto l’intimo legame fra gli elementi che costituiscono la prima trinità.
Movendo da ciò che per l’essere umano è più comprensibile, perché più prossimo allo sguardo della ragione, sant’Agostino giunge ad individuare la profonda relazione esistente fra lo spirito, la conoscenza e l’amore.
Lo spirito, nel momento in cui ama, manifesta la presenza di se stesso e dell’amore. Al tempo stesso, però, non potrebbe amarsi se, in qualche modo, non si conoscesse già. La natura di questo legame è sostanziale: non vi sono tre spiriti diversi ma uno soltanto che mostra nel proprio intimo una circolarità di relazione fra gli elementi che lo costituiscono:
«lo spirito che conosce ed ama se stesso è nel suo amore e nella sua conoscenza; l’amore dello spirito che si ama e si conosce è nello spirito e nella sua conoscenza; e la conoscenza dello spirito che si conosce e si ama è nello spirito e nel suo amore, perché si ama come conoscente e come amante. E per questo anche le altre due sono in ciascuna, perché lo spirito che si conosce ed ama è con la sua conoscenza nell’amore e con il suo amore nella conoscenza; anche l’amore stesso e la conoscenza sono insieme nello spirito che si ama e si conosce. Come poi ognuna sia tutta in tutte lo abbiamo già mostrato sopra: lo spirito ama tutto se stesso, conosce tutto se stesso, conosce tutto il proprio amore, ama tutta la conoscenza di sé, se queste tre cose sono perfette in se stesse. Così queste tre realtà sono in modo meraviglioso inseparabili tra loro, e tuttavia ciascuna di esse, considerata a parte, è sostanza, e tutte insieme sono una sola sostanza o essenza, sebbene nel contempo si predichino in vicendevole relazione»[12].
Attraverso lo spirito intuiamo anche le verità eterne che, attraverso la parola (verbo), indichiamo ad altri affinché possano contemplarle ed amarle. Solo una conoscenza amata è autentica.
Poiché lo spirito ama solo ciò che, in un certo modo, è conosciuto, dobbiamo ammettere che esso abbia una conoscenza implicita di se stesso.
E questo accade nella memoria. Oltre questa, attraverso l’intelligenza, lo spirito accumula altre conoscenze di cui può far uso, insieme alla prima, mediante la volontà.
Abbiamo qui l’altra trinità indicata precedentemente. Anche di essa possiamo dire che è una secondo la sostanza e trina secondo la relazione.
c. Duns Scoto
Ripresentando, in maniera originale, le riflessioni di sant’Agostino, Duns Scoto, offre una dottrina dell’amore che è intimamente legata alla sua visione di Dio. Infatti, per avere una conoscenza più profonda dell’amore, bisogna guardare alla relazione che intercorre fra le persone della Trinità. Da essa emerge che il Padre ama il Figlio ed è da Lui riamato e che questo amore è la chiave di volta per comprendere il significato dell’esistenza di tutta la realtà.
Il mondo esiste ed esiste perché creato da Dio liberalissime[13]. Egli agisce in maniera ordinata e ragionevole, rationabilissime[14]. Il fine della Sua azione è la propria glorificazione[15]. Ha creato ogni cosa per se stesso e per Colui che lo può amare in modo infinito, Cristo Gesù:
«Deus universum propter se creavit, unde Deus diligens se fecit haec»[16].
Dio, dunque, ama sé in se stesso e ama sé negli altri. Egli ha creato l’universo per riverberare la sua bontà, la sua grandezza e la sua gloria e per essere amato da altri.
Tra gli esseri chiamati all’esistenza – coamanti – c’è una gradazione di valore o di partecipazione al Suo essere.
L’essere più vicino al fine voluto da Dio, cioè amato e voluto per primo e indipendentemente da tutto e da tutti, è Cristo: summum opus Dei
«Si lapsum esset causa praedestinationis Christi, sequeretur quod summum opus Dei esset occasionatum […] videtur valde irrationabile.
Dico igitur sic: Primo Deus diligit se; secundo diligit se aliis […]; tertio vult diligi se ab alio, loquendo de amore alicuius extrinsici; et quarto praevidit unionem illius naturae, quae debet summe diligere, etsi nullus cecidisset […];et quinto istanti vidit mediatorem passurum ac redempturum populum suum, et non venisset ut mediator, ut passurus, nisi aliquis prius peccasset»[17].
Da quanto visto finora si evince che Dio vuole essere amato al di fuori del mistero trinitario da altri condiligentes e che Cristo può amare Dio più di quanto possano fare tutti gli altri esseri insieme, cioè in modo intensive.
Cristo è l’unico essere che con la sua Persona, quella divina, personifica due nature, quella divina e quella umana. Questo è il mistero dell’Incarnazione. In Cristo la “natura umana” è l’uomo intero. In forza di questa unione ipostatica, la natura umana diviene superiore a qualsiasi altra natura creata o creabile, perché “assunta” dal Verbo e come tale è capace di glorificare Dio al massimo grado possibile. La nobiltà e la dignità della natura umana dipendono, perciò, da essa.
Da un atto libero della volontà di Dio ha origine anche la creazione.
Scoto ci invita a considerare il carattere assolutamente contingente della realtà.
I greci osservano, nella natura, la presenza del moto e del mutamento così pensano a Dio come a un primo motore immobile, con lo sguardo rivolto solo a se stesso, capace di generare, attraverso un involontario e necessario movimento attrattivo, il dinamismo di tutto ciò che esiste.
La Rivelazione offre ai filosofi cristiani la nozione di creazione, mediante la quale essi possono considerare la realtà a partire dal suo fondamento. Ciò che esiste non è sempre esistito. Esso è stato tratto dal nulla e posto nell’essere attraverso un atto creativo che rivela, nel suo attuarsi, l’amore di Colui che ha compiuto in piena e totale libertà questo atto.
Sebbene sia stato fonte di notevoli equivoci, l’accento posto da Scoto sulla completa libertà dell’atto creativo, ci permette di cogliere un elemento essenziale della visione che egli ha dell’amore.
La totale dipendenza ontologica delle creature dal creatore, mostra quanto rilevante sia la considerazione del legame fra l’amore e la libertà. La realtà, infatti, non è, semplicemente, nata da un atto libero della volontà di Dio, ma continua ad esistere ancora a motivo del rinnovarsi continuo di questo atto.
Lo stretto legame fra amore e libertà, individuato da Scoto, si mostra come uno sviluppo della seconda trinità rinvenuta nello spirito da sant’Agostino. In essa il primato riconosciuto alla volontà nei confronti dell’intelletto permetterà di porre in rilievo il carattere assolutamente libero dell’amore. L’amore autentico non può che presentarsi come una espressione totalmente libera del proprio essere personale. Espressione libera che non coincide con il puro arbitrio. Dio crea liberamente la realtà in maniera rationabilissime, vale a dire, secondo un ordine razionale e non arbitrario. Il primato della volontà non coincide con il primato dell’arbitrio. Come aveva già sottolineato sant’Agostino, memoria, intelligenza e volontà non sono separabili. Esse sono in una relazione intima e duratura.
d. Il pensiero moderno e l’ipotesi di una frattura fra la conoscenza e l’amore
Il pensiero moderno nasce ponendo grande attenzione al problema della conoscenza umana. La riflessione della tarda scolastica medievale sul rapporto fra la fede e la ragione aveva mostrato la necessità di un ripensamento delle modalità di conoscenza della realtà.
Così, soprattutto nella filosofia di Cartesio, si fa spazio l’ipotesi di una frattura fra la ragione e tutto ciò che ha a che fare con il sentire umano. La conoscenza si mostra sempre più come il risultato di lunghe catene di ragionamenti dalle quali è necessario escludere quanto non attiene alla razionalità pura. La ragione, e di conseguenza anche la conoscenza, viene sempre più affrancata dal suo legame con tutto che ciò che ha origine dalla dimensione corporea dell’essere umano. I sensi ingannano pertanto occorre allontanarsi sempre più da quanto è da essi attestato. L’amore e la conoscenza vengono visti come ambiti totalmente separati.
E, sebbene anche il pensiero moderno abbia conosciuto autori che hanno tentato di riannodare questo legame[18], questa frattura è giunta, nelle varie forme in cui si è articolata, sino al pensiero contemporaneo.
2. Edith Stein: amore come immagine di Dio nella vita spirituale-naturale dell’essere umano
Dopo aver presentato la dottrina sull’amore di sant’Agostino, Edith Stein, nella sua opera Essere finito e Essere eterno, offre alcune interessanti riflessioni circa il rapporto che intercorre fra le due diverse trinità rinvenute dal santo nello spirito umano.
Ella pone in rilievo, facendo sua questa visione, l’intimo legame fra la conoscenza e l’amore affermando come per sant’Agostino:
«l’amore è la molla del pensare».[19]
Si deve prendere in considerazione l’amore anche esaminando l’attività conoscitiva. Nell’essere umano il legame fra la conoscenza e l’amore rivela l’immagine di Dio. Quindi conoscere l’amore vuol dire avere una certa conoscenza di Dio.
Senza alcun dubbio, la Stein, pone nuovamente al centro della sua riflessione la necessità di considerare l’essere umano nella totalità dei fattori che lo costituiscono. La frattura fra la conoscenza razionale e quella legata al sentimento propria del pensiero moderno, costringe ad eliminare dall’orizzonte dell’analisi conoscitiva una dimensione importante della persona umana, quella legata al sentire. E questo è contrario ad ogni ricerca che possa essere condotta in maniera attenta e rigorosa.
Occorre, ora, precisare maggiormente in cosa consista l’amore.
La Stein lo fa chiedendosi se per sant’Agostino amore e volontà sono la stessa cosa. Notando che fra di esse vi è una differenza, ella, mostra la correlazione che si viene a stabilire fra l’amore, la volontà e l’agire.
La volontà ha la sua origine nell’amore e genera, a sua volta, una determinata azione. L’amore, però non è possibile senza una certa conoscenza e non può che condurre ad un’altra specie di sapere. Ecco perché, secondo lei, le due trinità individuate da sant’Agostino, devono essere prese in considerazione entrambe e, soprattutto, devono essere valutate come segno del fatto che:
«Il tre-uno può essere considerato come una legge fondamentale della vita spirituale (come dell’intera creazione), una legge fondamentale che ritorna in tutte le sue diramazioni come la legge formale dell’essere vivente ritorna in tutte le sue parti»[20].
Così l’amore non è possibile senza la conoscenza, ma quest’ultima implica la presenza della memoria. Ad essa la Stein dedica una profonda analisi che prende avvio dalle riflessioni di sant’Agostino.
La memoria può essere intesa secondo significati diversi. Innanzitutto come l’”essere in” proprio di ogni vita spirituale mediante il quale essa è consapevole di se stessa prima di ogni ulteriore riflessione portata su di sé. Poi come il “ritenere” ciò che è stato conosciuto e ancora come il “ricordare”, dare nuova vita a quanto è stato ritenuto.
La Stein ritiene che la memoria, intesa secondo il primo significato, sia la forma originaria del conoscere. Senza di essa non sarebbe possibile alcun volere e non potrebbe esserci nessuna possibilità di vita spirituale e, pertanto, nessun essere spirituale.
La memoria ha una posizione di gran rilievo nella vita spirituale. Da essa ha origine il volere. Per volere bisogna conoscersi e conoscere.
Occorre ancora chiarire, a questo punto, la differenza fra l’amore e la volontà.
La Stein distingue il desiderio dalla volontà notando che nel desiderare qualcosa possiamo assumere l’atteggiamento di chi attende che ciò che si desidera si realizzi senza l’impegno attivo della propria persona. Inoltre, una volta realizzato, il desiderio cessa.
Il volere, invece, coinvolge tutta la persona che attraverso il proprio agire libero si muove per realizzare quanto è voluto. Esso, poi, non ha fine con il possesso di ciò che si è voluto e mira, pertanto, a conservarlo.
Ma che ne è dell’amore?
La Stein, in maniera piuttosto sintetica, quasi segno di un profondo pudore nei confronti di una intensa esperienza personale, ne individua alcuni tratti essenziali.
Il primo è il suo essere dono all’altro. Propriamente parlando l’amore è possibile solo fra esseri personali.
Questo dono, poi, deve essere accolto dalla persona amata. Solo se vi è la reciprocità di dono possiamo parlare di amore autentico.
Esso presuppone la libertà. Non ci si può donare all’altro e riceverne il dono se non si è liberi.
Ecco perché l’amore include in sé la conoscenza e la volontà e si mostra come piena attuazione del desiderio.
È nella vita trinitaria di Dio che abbiamo l’immagine perfetta di questo reciproco donarsi ed accogliersi nell’amore. Nell’essere umano, quello che in Dio è unito e perfetto, è diviso e imperfetto.
Tuttavia alla persona umana è stata data la capacità di sperimentare questo amore e di ridonarlo ad altri esseri umani. Questo a partire dal coinvolgimento di tutta la propria persona. Seguendo l’insegnamento di Duns Scoto, da lei esplicitamente citato, la Stein sottolinea il carattere libero dell’amore:
«Come abbiamo detto prima parlando di Duns Scoto, l’amore è ciò che di più libero esiste, poiché non dispone di un singolo moto, ma di tutto se stesso, della propria persona»[21].
L’amore vero è sempre dono di sé. Per poter donare sé, però, occorre possedersi, aver in mano la regia dei propri moti, come ella sottolinea in un’altra opera. Ecco perché nell’amore la persona vede impegnate tutte le proprie facoltà.
Allora anche la memoria, la conoscenza e la volontà sono intimamente condizionate dall’amore. L’amore è l’origine e lo scopo di questa triplice attività spirituale la quale porta ad un amore ancora più grande.
Amare conduce ad amare e, amando, si ama di un amore ancora più grande.
L’amore manifesta l’intimo della persona. La Stein, riproponendo ancora in maniera personale le analisi di sant’Agostino, mostra quanto importante sia, nella persona umana, la circolarità fra l’interiorità e l’andare all’esterno.
La vita spirituale è caratterizzata dall’essere intimo a se stesso, dall’andare verso il mondo esterno e dallo scambio reciproco fra interno e esterno.
Questa triplice attività dello spirito ha origine dall’amore.
Ma di quale amore si tratta?
La Stein sottolinea la necessità, per comprendere il senso vero dell’amore, di guardare a ciò che accade nel rapporto fra le Persone della Trinità.
Ognuna di esse dona se stessa all’altra senza veder diminuito il proprio essere e lo fa in un possesso pieno di sé. Per possedersi deve conoscersi e amarsi. Così nessun essere umano può amare l’altro in maniera autentica senza avere una partecipazione all’amore di Dio. In quanto solo Dio ama totalmente e pienamente ogni essere umano.
Ecco perché solo:
«colui che si dà a Lui raggiunge la massima perfezione nell’unione d’amore con Lui, in quell’amore che è contemporaneamente conoscenza, dono del cuore e atto libero. Egli è volto totalmente verso Dio, ma nell’unione con lo spirito divino lo spirito creato abbraccia anche se stesso, conoscendo e donandosi liberamente. Il donarsi a Dio è contemporaneamente donarsi al sé che è amato da Dio e a tutta la creazione, quindi a tutti gli esseri spirituali uniti in Dio»[22].
- Van Gogh V., Lettere a Theo, ed. Guanda, Parma, 1984, pp. 95-96. ↑
- Edith Stein, Briefe an Roman Ingarden 1917-1938, in Edith Steins Werke Band XIV, Herder, Freiburg i.Br. 1994, tr. it. di Costantini e E. Shulze, rev. e int. di A. M. Pezzella, Lettere a Ingarden, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2001, p. 43. ↑
- Edith Stein, Lettere a Ingarden, op. cit, p. 206. ↑
- Edith Stein, Der Aufbau der menschlichen Person, in Edith Steins Werke XVI, Herder, Freiburg i.Br. 1994, tr. it. di Michele D’Ambra, La struttura della persona umana, Città Nuova, Roma 2000, p. 70. ↑
- Sant’Agostino, De Trinitate, X, 5. ↑
- Sant’Agostino, Confessioni, X, 2 ↑
- Edith Stein, Der Aufbau der menschlichen Person, op. cit., p. 48. ↑
- Edith Stein, Endliches und ewiges Sein. Versuch eines Aufstiegs zum Sinn des Seins, in Edith Steins Werke, Band II, Herder, Friburgo i.Br. 1951; tr.fr., L’être fini et l’être eternel. Essai d’une atteinte du sens de l’être, Nauwelaerts, Parigi 1972; tr. it. di Luciana Vigone con revisione e presentazione di A. Ales Bello, Essere finito e essere eterno. Per una elevazione al senso dell’essere, ed. Città Nuova, Roma 1988, p. 73. ↑
- Ivi, p. 74. ↑
- Ivi, p. 78. ↑
- Edith Stein, Potenz und Akt – Studien zu einer Philosophie des Seins, in Edith Steins Werke, Band XVIII, Herder, Friburgo i.Br. 1998, tr. it. di A. Caputo, Potenza e atto. Studi per una filosofia dell’essere, Città Nuova, Roma 2003, p. 192. ↑
- Sant’Agostino, De Trinitate, IX, 5. ↑
- Duns Scoto, De primo principio, IV, n. 36. ↑
- Duns Scoto, Ordinatio, III, d. 32, q. un., n. 6. ↑
- Duns Scoto, Reportatio parisiensia, II, d. 1, q. 4, n. 14. ↑
- Duns Scoto, Op. cit., IV, d. 49, q. 7, n. 10. ↑
- Duns Scoto, Reportatio parisiensia, III, d. 7, q. 4, n. 5. ↑
- Pensiamo soprattutto a Blaise Pascal ↑
- Edith Stein, Essere finito e essere eterno. Per una elevazione al senso dell’essere, op. cit., p. 464. ↑
- Idem., p. 464. ↑
- Idem, p. 467. ↑
- Idem, p. 469. ↑